U PREBUGGIUN DE TREGOSA

di
Giorgio Cretì

Data presentazione: Venerdì 28 marzo 2003

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i ciottoli

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           Introduciamo questo ciottolo con la presentazione al volume di Giovanni Rebora, Docente di storia economica all’Università di Genova:

"Preboggiòn! Credo che si debba scrivere così, ma siccome si pronuncia prebuggiùn, non è il caso di confondere le idee alla gente.

Non voglio addentrarmi nella filologia dialettale, soprattutto perché la fantasia popolare ha spesso trovato etimi improbabili ed improponibili, ai quali però la gente si affeziona e non vuole rinunciarvi. Penso alle tante motivazioni ricavate da leggende o momenti storici o addirittura ai personaggi mitici portatori di novità. La parola preboggiòn  è, con buona attendibilità, insieme con prescinseua, una parola composta: pre-boggion. Starebbe a significare un insieme preparato per la cottura, per essere bollito, pre-bollitura per intenderci. Come pre-scinseua starebbe pre-cinta: cagliata avanti di essere cinta dall’apposita cintura per poi trasformarsi in formaggio. Esiste in siciliano il formaggio che oggi chiamano Piacentino che in realtà era pra-zentinu cioè piacentino.

Tornando al prebuggiùn devo osservare che a Sestri Ponente, nel giorno di Sant’Alberto i bambini andavano di casa in casa a chiedere un contributo per il prebuggiùn. Le famiglie visitate offrivano ai bambini una o due manciate di pasta secca, ciascuna famiglia offriva ciò che aveva e così alla fine della raccolta ci si trovava con un insieme eterogeneo di forme di pasta, dalle conchiglie agli spaghetti, dalle penne ai maccheroni di Natale, eccetera. Questo insieme era il prebuggiùn di Sant’Alberto e veniva cotto tutto insieme in grandi pentoloni e poi servito alla sera della festa sotto forma di pastasciutta. Alla cena servita all’aperto o nei locali della parrocchia partecipavano naturalmente i bambini, il parroco, i preti invitati di altre parrocchie ed una parte dei cittadini. Si trattava comunque di un insieme eterogeneo preparato per essere bollito.

Così mi sono avventurato su un terreno scivoloso, spero di non aver disturbato nessuno. Le pagine di questo ciottolo, però, contengono qualcosa di più delle ricette (che sono finalmente originali e ben costruite), contengono l’immagine ed il nome scientifico delle erbe che l’ortodossia popolare pretende di “fissare” in numero di sedici. Anche il mondo che chiamiamo “popolare” tende a complicarsi la vita con regole rigide, si sa.

L’autore è riuscito a conciliare i termini dialettali con cui anch’io riconosco le piante, con quelli scientifici, permettendo così a tutti, anche agli stranieri, di distinguere le differenti specie senza affidarsi ad improbabili interpretazioni. Così è anche per il cospicuo ricettario, arricchito dalle proposte dell’autore che dimostra, se ce ne fosse bisogno, di essersi impadronito della parte profonda della cultura di “Tregosa”, ma si leggano le pagine che seguono il titolo “Queste le offro io”, si tratta di una lezione di buonsenso, di un insieme di riflessioni che dovrebbero appartenere a tutti, anche ai pigri che non sopportano di attivare il senso critico".

 


Uno degli ingredienti il "Bellommu"

 

 

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