Da ü ziü Luigi

di
Giorgio Cretì


Non è l’insegna di un’antica bottiglieria, una taverna di quelle con la frasca di pino oppure di una trattoria dove si mangia alla paesana. É solo la scritta un po’ spiritosa, appesa ad un albero all’ingresso un orto molto particolare, da Luigi Dighèro nato a Riva Trigoso nel 1915. U ziu Luigi
Il quale sito poi è una specie di giardino delle Esperidi dove si alleva con grande cura non solo il pomo d’oro, l’arancio, ma anche le albicocche, le susine, i fichi e ogn’altro bendidio. La sua ubicazione non è posta in riva all’Oceano ma sopra uno scoglio dal quale, in silenzio eremitico,  si domina il mare fin quando finisce la baia ed anche oltre, fino all’orizzonte. Le fanciulle Esperidi, però, non abitano qui, vivono ancora da qualche parte ai piedi del monte Atlante. Qui si può incontrare soltanto colui che il giardino l’ha ricavato da una crosta di monte inaccessibile prima del suo arrivo, da un uomo modo suo libero, tuttavia non misantropo, ma gioviale con chi va a fargli visita da amico. Luigi ha l’ordine nella massima considerazione e così il rispetto della natura e per questo il sei settembre del 2004 bruciò il bosco di pini tutt’intorno, dove son ancora ben visibili i segni, ma non qui.
Siamo andati a trovarlo e siamo riusciti a farci raccontare una parte della sua storia.  

A quando risale la creazione di questo giardino delle meraviglie?

Del Settantatre ero ancora in cantiere, poi mi sono licenziato. Allora avevo cinquantasette anni… M’han detto se voglio fare un po’ di consulenza, perché io ero montatore esterno: turbine, compressori… quelle cose lì. Eh, ma sì, lo faccio, però mi date il terreno sopra il capannone di Montecatini. M‘han fatto un contratto vitalizio. Finché campo, questo posto non me lo toglie nessuno. Qua era bosco quasi inaccessibile.

Ma come hai fatto a pensare di venire quassù?

Ti spiego. I miei avevano un terreno in Valle Lago, di là [oltre il crinale]. Era un oliveto ed io, sa, quando mio padre aveva ottantatre anni e non ce la faceva più… io dovevo andare… e c’era solo olio e un po’ di robe così. Ci mettevano patate, cavoli, verdure… io ho messo su dei conigli. Ho detto: beh, ci metto i conigli e intanto passo il tempo. Però ero sempre a lavorare. Era fatica raccogliere le ulive e tutto ed in casa l’olio buono non ci piaceva e volevano quello comprato. E va ben! Allora vengo di qua. Era del Settantaquattro. Facevo ancora il consulente esterno per il cantiere. Allora vengo di una giornata di vento di tramontana, io e uno di là, Nicolini. Cerchiamo erba per i conigli. Qui c’era dell’erba molto buona, eh, e lì… Veniamo di qua. Belàn, di là si moriva, di qua primavera. Allora ho deciso: se volete che faccio il consulente mi date quel pezzo di monte. E ho lasciato di là e son venuto di qua.

Dopo aver scoperto che il clima era diverso.Panorama di Riva

Qua si sta bene più d’inverno che d’estate.

Quanto hai impiegato a bonificare?

Proprio a fare tutte le piane [le terrazze], ci ho impiegato cinque, sei anni. Perché ne facevo una oggi, una domani… Dovevo pulire, dovevo portar via l’erba, bruciavo. Io andavo alla buona, sa, bruciavo senza avvisare la forestale. Un giorno c’era un mucchio di rumenta alta come la baracca, io e il buonanima di Primo Ulivi. Eravamo in due. Lui diceva: io vado per erba, poi veniva indietro e diceva: ma non ce n’è, Luigi, di erba. Perchè non aveva voglia di farla. E ci mettiamo lì a bruciare. Ci divertivamo a vedere le fiamme che vanno su. Arriva la forestale! Cosa fate? Puliamo un po’. Non ci han fatto niente perché si vede che quel maresciallo lì era bravo. Perché qua in mezzo a un bosco, con quelle fiammate lì prende fuoco. Ma era una mattina bella calma, di quelle primavere buone. E allora non si può bruciare. Guardi che lei, se lo prendiamo… E io ho pensato: la roba c’è, qualcosa bisogna che inventi per levarla. Lì c’è i valloni, no, perché non c’è pianura, ed io li ho riempiti. Giù roba che buttavo, tutta la rumenta. Ora, purtroppo, qualche bruciatura la facciamo lo stesso, con fuochi piccoli. L’elicottero passa alle nove e un quarto, io alle otto sono qui, alle otto e venti ho finito. L’elicottero passa e io ho già bell’e finito tutto. Poi non faccio fumo, la metto bella secca, così brucia subito. Un po’ la porto nei boschi e un po’ la brucio.

E la baracca quando l’hai fatta?

Del Settantasette.

Venivano a trovarti gli amici?

Uuuh! Di quelle mangiate! I miei nipoti di domenica, di sabato… C’eravamo diciotto, venti. Avevamo fatto delle tavole di legno.

Cucinavate qui?

Si portava. Io ci avevo i conigli, si cuoceva sei o sette conigli. Poi prendevo delle sardine che si metteva sulla griglia, quella roba lì. Della verdura, frutta… c’era tutto qua. Una volta è venuto un milanese, una famiglia di milanesi, marito e moglie e due figli. Vengono su da Milano, amici… Era la stagione delle fave, i primi d’aprile, il 25 aprile io qua non ho più niente. Quest’anno ci avevo come minimo cinquanta chili di piselli, è stato un anno molto favorevole… ho preso delle patate così. Dipende dalle annate e anche da come si concima il terreno.

Quando sono venuti i milanesi, poi, che cosa è successo?

Abbiamo fatto una tavolata! Han fatto dei ripieni, quella roba lì. Ci avevo un pezzo di cipolle verdi, di qua a lì, e c’erano una cinquantina di piantine… Quel milanese lì, lo sa?: Luigi vammi a prendere ancora due cipolle… Ha mangiato come minimo venticinque cipolle. Ho detto: stattene a Milano, non venire qui. Andavo giù e ne prendevo due… erano già belle, eh! Le prendeva, levava la prima pelle e le mangiava con solo un po’ d’olio. E pane.

E vino magari.

Vino, eh!

Che vino?

Qualunque qualità andava bene. Quelli lì prendevano delle bottiglie e io ci dicevo: prendete delle bottiglie che costano un sacco di soldi, andiamo da Pizzarello, ne prendiamo tre o quattro bottiglioni e spendiamo tanto come le vostre bottiglie. Era buono perché era di qua, il nostralino. Non aveva tanti gradi… Ma poi, una bottiglia che ha dodici, tredici gradi a cosa serve?

Le è capitato qualche volta, in tanti anni, di non star bene qua sopra da solo?

Lì, vede quella baracca lì degli attrezzi? Una sera ho fatto il furbo. Era il sette dicembre dell’Ottantacinque, di lunedì, c’era un pino che mi dava fastidio, era ancora verde. Allora la forestale girava e a me quello dava fastidio in mezzo alla piana. Ci avevo una scala a tredici scalini. Son salito su e ho detto:… era già l’imbrunire e a dicembre viene buio presto. Porca miseria, salgo su… le scale oltre all’ultimo gradino ci hanno anche due spuntoni più alti e allora io per andare un po’ più su ho messo i piedi su quelli lì e mi tenevo all’albero. Ho tagliato il cimalino… ho detto: così domani vengo su presto… Mamma mia, taglio il cimalino su lì… Venendo giù, un ramo mi ha preso un piede e sono andato giù attaccato al cimalino, in terra. ‘Na patta! Mi son rotto il bacino. Però era composto non proprio rotto, rottura composta, frattura composta hanno detto. Ero vestito da lavoro. Mi cambio… un dolore… ma a botta calda si cammina e io vado… Ci avevo il motorino… Vado là, mi cambio alla svelta e poi non ce l’ho fatta a fare la salita. Andavo in ginocchio. E lì c’era un pino, mi sono aggrappato al tronco e mi son messo in piedi, senza nessuno. La botta l’avevo di qua, con questo piede stavo ancora bene in piedi. Ho detto: mah! Prendo il motorino e mi seggo sopra. Sono andato ancora bene. Che poi mia moglie era da mia figlia. Ci telefono e ci dico: vieni un po’ a casa che mi sono fatto un po’ male. Quando viene… Io ero sporco, mi son messo nel bagno e mi son lavato un po’ così, avevo zappato e avevo i piedi… Ho detto: mi portano all’ospedale… Ho preso la macchina della mia vicina che suo figlio è dottore, Manfredini, che è giovane, avrà quarant’anni. Era mio vicino di casa. M’ha preso e mi ha portato a Lavagna, al pronto soccorso. Un giorno all’ospedale e poi m’han mandato a casa: dovevo star fermo ventisei giorni.

La moglie ed i figli non ti hanno detto niente?

La moglie me n’ha dette tante che non ci stavano in casa. La mia casa ci ha una cameretta che corrisponde diritta con il corridoio e la cucina e la camera era di là. Avevo male ma mi tenevo il dolore, non mi lamentavo… Io ho gli orari fissi, all’incirca. Io come ora vado giù alle undici e venti per essere a casa. Cinque minuti dopo vuol dire che c’è la corriera.

Dal  Settantaquattro, tutti i giorni due volte al giorno, da Sestri con il motorino.

Sì, perché ci avevo la macchina, ma mi dava fastidio, mi andava più bene il motorino. Il motorino l’ho lasciato ch’è un anno e mezzo.

Perché era scomodo?

Perché mugugnavano tutti.

Quante ore stai qui?

Il mio orario è questo. Vengo su… ora sono abbonato alla corriera. La corriera mi lascia lì alla bocciofila alle sette e mezzo. Mi lascia lì e in un quarto d’ora me ne vengo su, piano piano. Alle otto son qua, mi cambio e poi fricceggiu, faccio un lavoretto qua, uno là… come prima c’era da legare i piselli, da dare la mangiada alle fave, poi… e mi diverto a fare quei lavori lì. Perché bisogna farli, eh. E poi alle dieci e mezzo mi cambio e ci ho la corriera alle undici.

E il pomeriggio vieni ancora.

Sì, il pomeriggio prendo una corriera all’una o a mezzogiorno e quaranta. Mi fermo alla bocciofila, se ci ho voglia faccio una partita, prendo un cafè, e poi vengo su. Solo due ore. Poi alle quattro me ne vado. D’inverno, però, non vengo tutti i giorni. Mi fermo alla bocciofila… Allora c’è discussioni, stiamo un po’ lì. Io abito a Sestri ma gli amici e i conoscenti ce l’ho a Riva perché son nato a Riva. Io son nato lì dalla chiesa.

Quando ti stancherai o non potrai più venire, che fine farà tutto questo?

Se lo riprende il cantiere. Quando io non ce la faccio più, ce lo dico al cantiere e abbandono il terreno.

Ed i figli o i nipoti?

Non viene nessuno… ce n’ho diciotto nipoti. Sono cambiati i tempi, stanno più bene. Però. Io ho visto, quando è la domenica e non vengo su… Vado a fare un giro per vedere i prezzi che fanno. Nella stagione delle fave e dei piselli, sa cosa ho visto? Delle fave lunghe così… secche che dentro non avevano neanche semi, grandi come piselli e non come fave… Quattro euro. I piselli in tre posti: uno laggiù dalla parrocchia, uno in piazza di fronte a me e uno più in là, ch’è la più ricca, che ci ha la roba più bella perché la prende dai contadini e non dai mercati… I piselli otto euro al chilo. Lo sa che sono sedicimila lire? In aprile, i primi di maggio.

Della tua roba, hai mai venduto qualcosa?

No. Quest’anno… A Sestri c’è un’associazione, Terza Età, i vecchi, e mia moglie va lì e m’ha detto: vieni anche te, iscriviti. Mi sono iscritto e io sono iscritto anche qui alla bocciofila… Dove vado mi iscrivo. M’ha iscritto lì e fanno delle festicciole. M’ha detto: vieni a mangiare. Sì. E c’era una roba, una roba di mare, sa, pastasciutta coi frutti di mare, anche buona e costava anche poco, undici, dodici euro, del vino, frutta, verdura e il limoncino. Quando ci avevo tanti piselli ho detto a mia moglie: guarda, lassù… ce n’era proprio spalliere che vedevi solo piselli, un disegno sembrava. Ne ho preso, saranno stati tre chili e li ho portati giù. Ho detto: portali al centro. Li ha portati. La domenica dopo hanno fatto una festicciola. M’han detto: ce n’hai ancora dei piselli. E ce n’avevo. Cinque chili ne ho portato laggiù. Quando facciamo le festicciole siamo una trentina, viene anche giù quelli di Riva.

Nessuno ti ha mai dato una mano a rincalzare le fave, a strapare l’erba? Ti aiutano?

Eeeh!! Dooove? M’aiuutano! Se lo credeva lei. Vengono qua, ora è già un po’ che non  vedo nessuno, sarà cinque sei mesi… Veniva qua: un po’ di prezzemolo, un po’ di radicchio, un po’ di rosmarino. Faceva un pacchettino e: ce l’hai un bicchiere?

In tanti anni quassù a dominare il mare, hai mai osservato qualcosa di eccezionale?

No. Da qui si osserva qualche cosa un po’ quando c’è il mare grosso, che fa delle onde proprio così. Ho visto una volta che c’era il mare grosso, una petroliera è venuta vicino vicino per ripararsi  L’unica volta.

Se tu volessi dire che questo è il posto ideale per starci, per quale motivo?

Guardi, io sono del parere ch’è un bel posto. Non ho vizi, salvo qualche bicchiere di vino e mia moglie mi ha fatto il mio misurino, ma credo che qui ci sto bene perché faccio quello che voglio. Se non ci ho voglia non lavoro, se ci ho voglia lavoro e quando viene su qualcheduno di quelli…, e va beh, puoi fare questo e quello… Mi viene il nervoso e io non lo faccio più. Non lo faccio. Quello che mi suggerisce un altro non lo faccio. E il lavoro mi rende, perché se uno e lì… Delle volte viene qualcheduno… Prima venivano un po’ troppo, eh… Avevo una diecina di peschi così, prugne, ce n’erano a terra ch’era un tappeto, nessuno ne voleva. Quelle piante lì erano cariche, proprio c’era un po’ di tutto, ma… E lì, belàn!, venivano su: devi fare quello lì, questo ce lo lasci… Ci ho detto: sta’ a sentire, ci andiamo a sedere, qua dove siamo adesso, beviamo un bicchiere e poi te ne vai. Amici siamo e amici restiamo. Se stai qui non faccio niente e quello che mi dici tanto lo faccio o non lo faccio… Ormai saremo alle ultime gocce, eh!

Quando da qui vedi il cantiere, non ti viene in mente di quando eri giù a lavorare?

Io le mie date del cantiere le so tutte. Da quando ho lasciato la quinta a scuola, che poi marinavo, tanto che il maestro prese mia madre… Avevo undici anni e invece di andare alla scuola andavamo alla spiaggia, ma non così eh, alla spiaggia c’eravamo in tre, non c’era nessuno, era un deserto. Io son nato del Quindici, il quattordici gennaio. Dopo ho finito la scuola, del Ventisei, mia mamma era brava mio padre non tanto, un po'’ più faceva filare… E lì m’han mandato da Parchi a fare il garzonetto panettiere, in via Genova, avevo undici anni. Sono stato tre anni. A quattordici anni, il diciassette aprile del Ventinove, sono entrato in cantiere. Era venuta la crisi, ci mandavano a casa per quindici giorni… A quei tempi io ragazzo avevo sette centesimi l’ora. Si facevano undici ore al giorno. Alla domenica fino a mezzogiorno. Del Trentasei sono andato a militare.

E t’hanno mandato in Africa.

Sì, nel Trentasei. Nel Trentasei sono andato in marina. Ero imbarcato sul Duca d’Aosta, una nave grossa, nuova, e ci ho fatto trentasette mesi. Poi son venuto a casa perché ho avuto fortuna, nel Trentotto. Poi di nuovo richiamato. Insomma ci son stato trentasette mesi. Di lì vengo a casa e vengo in cantiere, perché allora c’era il diritto che uno ch’era militare poi conservava il posto. Sono uscito del Settantatre. Licenziato! Del Settantasei ho finito il consulente. Guardi un po’ dal Ventinove al Settantasei.

Ma hai qualche nostalgia dei tempi del cantiere?

A quei tempi in cantiere eravamo troppo sfruttati. Non c’era libertà. Lavoro e basta. Undici ore al giorno! Uno che ha diciotto, vent’anni, venticinque… Era lavoro, senza mezzi… Una bicicletta in due per andare a Sestri, uno sul tubo e l’altro a pedalare.

 

Riva, 6 giugno 2006