GIACOMO CARNIGLIA
1776-1860

Nota di Francesco Dario Rossi

 

              Giacomo Carniglia  nacque a Trigoso il 13 febbraio 1776 da Emanuele Carniglia e Maria Roscelli. Giovinetto fu mandato a studiare a Genova, dove subito dimostrò notevole ingegno, soprattutto nell’apprendimento della poesia latina; era per questo molto caro al suo dotto maestro, l’abate Poggi. Dopo aver compiuto gli studi di lettere e filosofia, non avendo intenzione di intraprendere né la carriera ecclesiastica né altra carriera che lo costringesse a vivere in città, ritornò nel suo borgo di Trigoso. Qui trascorse molti anni, dividendo il suo tempo tra la caccia e la lettura dei classici italiani e latini, specialmente Virgilio e Orazio, che conosceva in gran parte a memoria.

             A seguito della sua traduzione in latino di una famosa opera di Monti, la Bansvilliana, traduzione che diede alle stampe nel 1824, divenne famoso in tutta la Liguria. Pertanto il Municipio di Sestri Levante lo scelse come professore di Retorica nelle sue Pubbliche Scuole. Egli insegnò per quindici anni nel ginnasio sestrese, molto amato e stimato dagli alunni, finché quella scuola pubblica fu chiusa, a seguito di una crisi economica che aveva colpito i paesi della riviera.

              Carniglia si ritirò allora nella sua cara Trigoso, dove compose le poesie italiane e latine, che poi raccolse in volume. Successivamente, sentendo con il passare degli anni il bisogno di vivere in un luogo meno appartato, si trasferì a Sestri Levante, dove continuò i suoi studi letterari. Qui morì, in casa dei nobili Sertorio, il 13 marzo 1860.

              Giacomo Carniglia studiò i classici italiani, soprattutto Dante Alighieri, il Petrarca, il poeta savonese Gabriello Chiabrera, autori del Settecento come Monti e Parini; conobbe senza dubbio le opere di Foscolo e di Manzoni, la cui eco si sente in alcuni suoi versi.

La sua lunga vita attraversò due secoli, il Settecento, secolo del classicismo e dell’Illuminismo, e l’Ottocento, nei primi decenni del quale si affermò il Romanticismo.

              La cultura del poeta Carniglia fu soprattutto classica e i modelli cui si ispirò maggiormente furono quelli delle sue letture: Dante, Chiabrera, e particolarmente autori di fine Settecento, Monti e Parini. Nelle poesie italiane egli usò uno stile classicheggiante, con frequenti dotti riferimenti alla cultura greca e latina, alla Bibbia e a personaggi storici di varie epoche.

              I versi di Giacomo Carniglia a noi lettori del Duemila possono apparire troppo enfatici, altisonanti, retorici e troppo ricchi di dotte citazioni; se giudichiamo i suoi versi secondo i canoni dell’estetica crociana, l’oratoria senza dubbio prevale rispetto alla poesia. Tuttavia ogni artista, ogni poeta deve essere giudicato anche tenendo conto della realtà storica e letteraria del suo tempo, della temperie storica che lo ha circondato ed ha contribuito alla formazione della sua poetica. Il poeta infatti non vive in una turris eburnea, staccato dal suo tempo, ma vi è immerso profondamente, ed è più che naturale che riecheggi mode e stili a lui contemporanei.

              I tempi in cui il Nostro visse furono caratterizzati da profondi conflitti ideologici. Dopo la Rivoluzione Francese, il regime napoleonico ne aveva diffuso alcuni principi anche nella Gallia Cisalpina, di cui faceva parte la Liguria. Dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo nel 1815, nel Congresso di Vienna prevalse la Restaurazione, con il ritorno sui loro troni dei re e dei principi che venivano considerati “legittimi”. In Liguria ritornò la dinastia dei Savoia. Dopo pochi anni cominciarono ad apparire le prime idee romantiche e, con esse, i germi che avrebbero condotto al Risorgimento e all’Unità d’Italia.

              Vivendo in questi anni di conflitti ideologici, Carniglia formò la sua poetica, come già detto su basi prettamente classiche, ma con un’impronta personale di notevole rilievo.

              La sua raccolta di Poesie italiane e latine ha inizio con Le ricordanze patrie, carme nel quale il poeta immagina di essere avvicinato, in una bella serata su un colle sovrastante Genova, dal Genio ligure, cioè dallo spirito che incarna l’orgoglio ligure per il proprio passato di gloria. E’ un canto ispirato dall’amor di patria e dal desiderio di celebrare gli uomini che resero grande Genova. Il Genio ligure dice al poeta che su quel colle ogni sera si radunano gli spiriti dei grandi Genovesi, come Andrea Doria e Cristoforo Colombo; a proposito di quest’ultimo Giacomo Carniglia scrive versi molto ispirati, che trasmettono al lettore il mistero dell’ignoto, degli abissi e dei cieli sconfinati che si aprirono davanti a Colombo durante la sua navigazione verso l’America. Da notare è anche l’enfasi con cui il poeta mette in risalto la religiosità di Colombo che, giunto sul suolo del Nuovo Continente, come primo atto piantò in terra la Croce, “il segno in terra riverito e in cielo”.

              Nel chiarore della notte, egli vede scendere dal cielo una nube leggera, che avvolge gli spiriti dei grandi genovesi; in questa descrizione Giacomo Carniglia si rivela grande poeta, con movimenti e suoni che suggeriscono la levità della notte ed il sussurro degli spiriti. Egli vede i Doria, Di Negro, Canevari , Lomellini, G.B.Perazzo detto “il Balilla” e Gabriello Chiabrera, il grande poeta savonese del Seicento, che innalza un canto intensamente patriottico, rievocando i fasti di Genova e le sue lotte contro gli stranieri invasori. Questo carme termina sonoramente, con un augurio a Genova di vita eterna.

              Altri carmi del Nostro rivelano la sua profonda religiosità; nell’Amor Divino erge un solenne inno a Dio, sommo Creatore, e canta la bellezza della natura, che innalza un canto di gratitudine; poi il poeta volge ispirato il proprio pensiero all’Incarnazione del Verbo e all’evento del Natale di Gesù
I canti ispirati dalla gratitudine mantengono viva la memoria degli eroi e dei grandi; con questo concetto Carniglia è vicino alla profondità della poesia foscoliana dei Sepolcri.

              Un altro carme è poi dedicato alla tomba di Gabriello Chiabrera; è da rilevare che in questa ode il poeta dice di essere giunto a Savona dalla natia Tigullia, citando con affetto la sua amata Trigoso.

              Altre poesie egli dedica a patrizi genovesi, come il Marchese Tommaso Balbi, Pietro Canevari, che vinse gli Austriaci a Torriglia nel 1747, Laura Pinelli e Sofia Lomellini, morte durante l’assistenza agli appestati nel 1657 ed in celebrazione delle nozze di Carlo Alberto di Savoia.

              Bella è l’ode in latino dedicata al nobile Marcello Luigi Durazzo, protettore delle belle arti, che aveva affidato allo scultore Gaggini l’incarico di scolpire un bassorilievo. A proposito di questa ode, desidero mettere in evidenza che Giacomo Carniglia scrisse parecchie odi in lingua latina; i versi sono nitidi, perfetti nella loro sonorità e forza espressiva. Leggendo i versi latini di Carniglia, si è avvolti in un’atmosfera classica tale che pare di leggere Virgilio od Orazio.

              Ultimo omaggio alla profonda e sincera religiosità del Nostro desidero fare, ricordando le due sue belle Odi scritte in onore di Nostra Signora della Misericordia, venerata a Savona; in una di queste il poeta identifica nella Speranza il più umano e materno dono fatto agli uomini dalla Madonna.

              Pensando alla religiosità ed ai valori di alto spessore (dignità, onore, sincerità, gratitudine) che permeano i versi di Giacomo Carniglia, non si può non ricordare un saggio del grande critico nostro concittadino prof. Carlo Bo, recentemente scomparso, Letteratura come vita, in cui egli afferma che  non vi è e non vi deve essere opposizione tra la vita di uno scrittore ed i suoi scritti. Sono tutti e due, in egual misura, strumenti di ricerca e di verità, mezzi per raggiungere l’assoluta necessità di sapere qualcosa di noi, o meglio, di continuare ad attendere con dignità e coerenza la Notizia che ci soddisfi e ci superi. La poesia in tal modo dà spazio alla Vita vera, quella che prescinde dal Tempo e si fonda sull’eternità dello Spirito e di Dio.

              Proprio in questa luce dobbiamo leggere le opere del nostro grande conterraneo Giacomo Carniglia, che ha scritto versi di vera poesia, che possiedono universalità e possono vivere al di là dello spazio e del tempo, vincendo “di mille secoli il silenzio”.