LA LAPIDE RITROVATA 

a cura di Gianluca Rezzano

Foto della lapide: Autore: Sergio Magrone – 17 luglio 2005

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LA SCOPERTA DELLA LAPIDE
 

             In occasione dei recenti lavori di ristrutturazione della sacrestia (terminati con perfetto tempismo per il Carmine 2005), è stata rinvenuta una lapide in ardesia risalente al 15 luglio 1627.

            Di questa lapide si era persa nel tempo ogni memoria e, come si vedrà, la sua esistenza è legata proprio alle vicende della sacrestia.

            Avendo così ritrovato dopo ben 378 anni una testimonianza di quei tempi lontani, appare quanto meno doveroso ricordare e onorare l'operato di quegli antichi parrocchiani.

            Da questa esigenza nasce dunque questo breve scritto, dove si propone una traduzione quanto più letterale possibile del testo della lapide integrata da alcune brevi note anche a carattere storico.

            Buona lettura. 

 

 

 

 

 

 

TESTO DELLA LAPIDE [1]

  

FR[ATER] IO[HANNES] VINCEN[TIU]S SPINULA

EP[ISCOP]US BRUGNATI ET COMES

 

CONSTITO NOBIS R. D. ANGELUM

ALOYSIUM TISCORNIA IURIS

UTRIUSQUE DOCTOREM

COMITEM PALATINUM PRO-

THONOT[ARIU]M APOSTOLICUM ET

PLEBIS S[ANC]TI STEPH[AN]I ARCHIPR[ESBITER]UM

IN CONSTRUENDO CHORO

ET SACRISTIA PROPRIO AERE

LIBRAS MILLE DUCENTAS

IMPENDISSE UT EIUS EXE[M]PLO

AD HAEC ET SIMILIA OPERA

ALII MAGIS ACCENDANTUR

LICENTIAM IN DICTA ECCLESIA

AFFIGENDI EIUS INSIGNIA

CONCESSIMUS GRATIOSE

DAT[UM] SIGESTRI DIE XV IULII 1627

VINC[ENTIU]S FERRARIUS CANC[ELLERIU]S

 

 

 

 

 

 

 

 

TRADUZIONE

 

 FRATELLO GIOVANNI VINCENZO SPINOLA

VESCOVO DI BRUGNATO E CONTE

 

SAPUTO DA NOI CHE IL REVERENDISSIMO

DON ANGELO ALOISIO TISCORNIA

DOTTORE NELLE LEGGI, CONTE PALATINO,

PROTONOTARIO APOSTOLICO E

ARCIPRETE DELLA PARROCCHIA DI SANTO STEFANO

PER COSTRUIRE IL CORO E LA SACRESTIA

HA SBORSATO DI TASCA SUA

MILLE E DUECENTO LIRE

ED AFFINCHE' CON IL SUO ESEMPIO

ALTRI SIANO MAGGIORMENTE SPINTI A

QUESTA E SIMILI OPERE

GRAZIOSAMENTE CONCEDIAMO

IL PERMESSO DI AFFIGGERE IN DETTA CHIESA

LE SUE INSEGNE.

DATO IN SESTRI IL GIORNO 15 DI LUGLIO 1627

VINCENZO FERRARI CANCELLIERE

 

  

NOTE

 

            Come si vede, la lapide ci racconta un curioso spaccato della vita parrocchiale di quei tempi. Il protagonista è il parroco don Angelo Tiscornia, il quale, avendo notevolmente contribuito alla costruzione della sacrestia e del coro, riceve dal vescovo Spinola il permesso di affiggere il suo stemma nella chiesa parrocchiale. Il parroco infatti, come ci ricorda la lapide, era “conte palatino”.

            Non sappiamo molto di questo antico parroco ed anche del suo stemma, così com’era già successo per la lapide, si è persa memoria: probabilmente sarà stato murato nella facciata della chiesa e sarà andato perduto in occasione di qualche ristrutturazione.

            Ciò che la lapide ci fa invece conoscere del parroco sono i suoi molteplici titoli: doctor utriusque iuris, conte palatino e protonotario apostolico.

            Vediamo dunque di saperne un po’ di più di questi titoli.

            Il titolo “iuris utriusque doctor” letteralmente significa “dottore in entrambi le leggi”, dove le due leggi in questione sono il diritto civile e quello canonico. Si tratta quindi di una specie di doppia laurea.

            Qualora tale laurea fosse stata conseguita in un’università riconosciuta dal Sacro Romano Impero (tipo quella di Bologna, il cui statuto fu promulgato da Federico I Barbarossa nel 1158 – e chissà se don Angelo aveva studiato proprio qui?), al titolo di “doctor” si aggiungeva pure quello di “conte palatino” [2].

            Naturalmente, questa sorta di investitura nobiliare avveniva a mero titolo onorifico e non si trattava dunque di veri conti: tale titolo comportava però alcuni privilegi – diversi a seconda di chi ne era investito – e l’assegnazione di uno stemma.

Un privilegio però concesso indistintamente a tutti i conti palatini era quello di poter coronare il proprio stemma con l'aquila imperiale: è probabilmente per questo che il munifico gesto del parroco venne ricambiato dal vescovo col permesso di mostrare il suo stemma.

            L’ultimo titolo del parroco Tiscornia di cui la lapide ci rende edotti è quello di “protonotario apostolico”.

            E' questa una carica che ha subito profonde trasformazioni nel corso della storia. Anticamente, questa figura addirittura non esisteva: la struttura amministrativa della Chiesa prevedeva l'esistenza di sette notai locali che raccogliessero e classificassero i vari atti della Curia. Al crescere del carico amministrativo, nel Medio Evo venne creato un apposito collegio di sette “protonotai” per coordinare il lavoro delle varie curie locali; risiedendo questo collegio in Roma, i suoi membri vennero per l'appunto detti “apostolici”.

            Col passare del tempo, il collegio si ingrandì fino a comprendere dodici membri – per decisione di papa Sisto V (1585-90). Poi, gradatamente, il collegio perse importanza fino a scomparire.

            Venne ultimamente ristabilito nel 1838 – nel canonico numero di sette membri – da papa Gregorio XVI, il quale affidò al collegio compiti essenzialmente collegati alle cause di beatificazione e canonizzazione. E' un titolo che può comunque essere assegnato come onorificenza.

 

            L'altro protagonista della vicenda narrata dalla lapide – nonché concedente del permesso – è il vescovo Giovanni Vincenzo Spinola, vescovo di Brugnato dal 1623 al 1639. Nella lapide viene appellato “fratello” perchè apparteneva all'Ordine degli Agostiniani.

            Il vescovo Spinola era molto attivo a Sestri Levante: nel 1624 consacrò la chiesa di Santa Maria di Nazareth  e vi tenne successivamente il primo Sinodo Diocesano. Sempre a Sestri Levante vi morì il 23 giugno del 1639 e vi fu pure sepolto: la sua tomba si trova proprio nella chiesa di Santa Maria di Nazareth, sul pavimento del coro dietro l'Altar Maggiore (vedi www.maranatha.it).

 

            Arriviamo adesso al punto cruciale di tutta la vicenda: il contributo di 1.200 lire versato da don Angelo per la costruzione del coro e della sacrestia.

            Quanto vale oggi una simile somma? Se consideriamo quanto ricevuto dal parroco (permesso di esporre il suo stemma, visita vescovile, lapide ad imperituro ricordo, ecc. ecc.) doveva con ogni evidenza trattarsi di una somma importante: con tutta probabilità, il parroco avrà comprato i materiali da costruzione ed i parrocchiani avranno fornito gratis et amore Dei (è proprio il caso di dirlo) la forza lavoro.

            E’ però piuttosto difficile calcolare il valore odierno di quelle 1.200 lire di allora. Ciò deriva soprattutto dal fatto che noi non sappiamo cosa si potesse comprare allora con 1.200 lire e non riusciamo quindi a calcolare un controvalore ad oggi in termini di parità di potere d’acquisto.

            L’unico sistema che ci rimane è quello di calcolare il controvalore in oro.

Se partiamo infatti dal presupposto (più che plausibile) che le famose 1.200 in questione fossero lire genovesi, noi sappiamo che 4 lire genovesi erano pari ad uno scudo d’oro.

Lo scudo d’oro dell’epoca era una moneta al titolo di 22 carati (pari a 916/1000) che pesava gr. 3,36 in lega (ovvero gr. 3,077 di oro fino).

Facendo le debite proporzioni, si ricava che 1 lira genovese è pari a gr. 0,769 di oro fino e che quindi 1.200 lire genovesi sono pari a gr. 922,8 d’oro fino.

            Alla quotazione attuale dell’oro di circa 423 dollari americani per oncia (28 gr.) – pari a 15 $ al grammo, ovvero circa 12,5 euro al grammo – otteniamo che le 1.200 lire di allora equivalgono a circa 11.535 euro di oggi.

            Naturalmente, per quanto detto sopra, questo calcolo ha valore fino ad un certo punto, ma fornisce comunque un certo ordine di grandezza.

 

            Finisce così questo breve excursus intorno alla lapide ritrovata.

E’ un ritrovamento che mi pare carico di un significato particolare; non solo, come dicevo più sopra, abbiamo rinvenuto ben 378 anni dopo una testimonianza di quei tempi lontani, ma ciò è avvenuto pure nello stesso periodo in cui la lapide è stata posta: la festività di Nostra Signora del Carmelo (ed è inutile sottolineare qui l’importanza di questa ricorrenza per la nostra comunità parrocchiale).

Ma forse la cosa più importante è che l’auspicio del vescovo Spinola che l’esempio di don Angelo spingesse altri “a questa e simili opere” non è caduto nel vuoto: quasi quattro secoli ci separano da quei tempi lontani, ma il fiorire di lavori di questi ultimi anni (per non parlare di quelli prossimi) hanno reso (e renderanno) la nostra chiesa e gli annessi edifici sempre più belli.

Abbiamo dunque degnamente raccolto il testimone passatoci da don Tiscornia: che dite, sarà forse il caso di lasciare anche noi una lapide per i posteri?

Ah, ultima (curiosa) nota: il 15 luglio 1627 era un giovedì.

 


[1] Le lettere fra le parentesi quadre non sono scritte nella lapide; è una caratteristica tipica delle lapidi antiche: per risparmiare tempo, fatica (e denaro) gli incisori abbreviavano le parole da scrivere, omettendo alcune lettere.

[2] Originariamente, il conte palatino (dal latino comes palatinus, letteralmente compagno di palazzo) era un nobile che risiedeva a corte, al servizio del re (da questo deriva, tra l'altro, il nostro termine “paladino”).